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22 Luglio 2022

PAGAMENTI ELETTRONICI: QUANDO SCATTANO LE SANZIONI POS

La Guardia di Finanza ha diramato le istruzioni operative relative all’irrogazione della sanzione pecuniaria in caso di rifiuto di esecuzione dei pagamenti con moneta digitale. La sanzione – operativa dal 30 giugno 2022 – è composta di una quota fissa (30 euro) e una proporzionale (4% della somma pagata) e non è irrogabile in caso di oggettiva impossibilità tecnica: una previsione, questa, che si presta a prevedibili elusioni dell’obbligo giuridico. È da ritenere, poi, che la mancata installazione del POS comporti comunque l’irrogazione della sanzione. L’accertamento è demandato agli Ufficiali ed Agenti di Polizia giudiziaria.

Con una circolare dell’11 luglio 2022 il Comando Generale della Guardia di Finanza ha diramato istruzioni operative in merito all’applicazione dell’art. 18, comma 1, D.L. n. 36/2022, che ha anticipato al 30 giugno 2022 il termine, inizialmente previsto per il 1° gennaio 2023, a decorrere dal quale è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria per la mancata accettazione di pagamenti elettronici.

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In merito, a suo tempo il Ministero dello Sviluppo economico con apposito regolamento aveva tentato di definire le modalità, i termini e gli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie anche in relazione ai soggetti interessati non essendo stata prevista, in modo incomprensibile sul versante giuridico, una sanzione applicabile in caso di violazione dello specifico obbligo.

Tale tentativo non superò il parere del Consiglio di Stato che aveva ravvisato una palese incompatibilità della scelta, con riferimento, innanzitutto, all’art. 23 Cost. il quale prevede che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

È stato evidenziato, invero, che nell’intento di precisare gli essenziali elementi per individuare le prestazioni patrimoniali imposte che giustificano la garanzia della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. e i conseguenziali limiti alla discrezionalità della pubblica amministrazione, la giurisprudenza costituzionale aveva originariamente fatto riferimento solo alla natura autoritativa dell’atto che costituisce la prestazione, in quanto tale emesso indipendentemente dalla volontà del soggetto passivo.

Tale orientamento è stato successivamente ampliato, per cui la natura di prestazione imposta è stata individuata anche nelle ipotesi in cui la prestazione stessa, pur nascendo da un contratto privatistico volontariamente stipulato dall’utente col titolare del bene o del servizio, e quindi dando luogo ad un rapporto negoziale di diritto privato, si riferisca ad un “servizio che, in considerazione della sua particolare rilevanza, venga riservato alla mano pubblica e l’uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita“, sicché “il cittadino è libero di stipulare o non stipulare il contratto, ma questa libertà si riduce alla possibilità di scegliere fra la rinunzia al soddisfacimento di un bisogno essenziale e l’accettazione di condizioni e di obblighi unilateralmente e autoritativamente prefissati” (Corte Costituzionale, 10 giugno 1994, n. 236).

Fatta questa premessa, è stato ora disposto che i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizianche professionale, sono tenuti ad accettare anche i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, carte di credito e prepagate; tale obbligo non trova applicazione nei casi di oggettiva impossibilità tecnica, fermo restando le disposizioni in materia di responsabilità amministrativa dell’ente di cui al D.Lgs. n. 231/2000.

A quanto ammonta la sanzione?

Dopo diversi tentativi, si è finalmente utilizzato lo strumento normativo corretto. Non senza aver prima superato ostruzionismi di varia natura con motivazioni oggettivamente prive di un effettivo supporto giuridico, anche a voler ignorare la consapevolezza che la lotta al riciclaggio e il contrasto alla evasione ed elusione fiscale non possa prescindere dalla tracciabilità dei flussi finanziari, come peraltro previsto con l’attuazione della direttiva (UE) n. 2015/ 849 (IV direttiva antiriciclaggio), relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo internazionale.

Si tratta certamente di un significativo passo avanti.

Si è dovuto finalmente attendere la normativa in materia di PNRR con la quale è stato previsto che la disciplina sanzionatoria entrasse in vigore entro il secondo trimestre 2022, con una previsione legislativa che garantisse sanzioni amministrative efficaci in caso di rifiuto da parte di imprenditori e lavoratori autonomi di accettare pagamenti elettronici.

Come si vedrà. anche la nuova disciplina non manca di sollevare alcuni interrogativi e, soprattutto, rischia di consentire ai “soliti furbetti” di precludere ai cittadini la possibilità di utilizzare la moneta elettronica nei pagamenti di acquisto di beni e servizi.

In linea di principio, una volta imposto l’obbligo di installare il POS ai soggetti che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizio, dal punto di vista soggettivo sono stati attratti nell’area operativa del provvedimento tutti i contribuenti titolari di partita IVA, siano imprenditori, professionisti e/o lavoratori autonomi.

In caso di ingiustificato rifiuto si applica una a sanzione costituita da una quota fissa di 30 euro più una parte percentuale nella misura del 4% del valore/prezzo del bene o del corrispettivo del servizio.

Ferma restando la modesta entità della quota fissa, il criterio misto utilizzato deve essere certamente condiviso in quanto consente, secondo un corretto principio di proporzionalità, di rapportare la sanzione complessiva all’effettiva entità dell’evasione.

Sotto tale aspetto va sottolineato, per contro, che la formulazione della norma che sancisce l’obbligo di accettare pagamenti elettronici ha carattere oggettivo nel senso che prescinde dall’entità del corrispettivo, dalle modalità di svolgimento dell’attività (in locali aperti al pubblico o meno) e dalla natura del cedente o prestatore (imprenditore, professionista, ente non commerciale per l’attività commerciale, etc.).

Quando si applica la sanzione?

In merito, la circolare del Comando generale evidenzia una oggettiva carenza della normativa di riferimento atteso che, dopo aver precisato che la violazione deriva dalla mancata accettazione della richiesta del cliente di effettuare il pagamento tramite carte di debito, di credito e prepagate, prevede che “ fintantoché una richiesta in tal senso non sia stata rifiutata dall’esercente, l’eventuale circostanza che quest’ultimo non sia dotato delle apparecchiature tecniche necessarie per effettuare pagamenti elettronici (cd. Point of Sale o POSnon costituisce condotta sanzionabile”.

Francamente si tratta di una conclusione che, forte di un’interpretazione restrittiva (eccessiva) della norma primaria, se condivisa dalla giurisprudenza, porrebbe nel nulla l’efficacia del provvedimento sanzionatorio. Se così fosse, basterebbe non installare il POS per sottrarsi a qualsiasi forma di responsabilità.

Si è dell’avviso, però, che pur versando in materia di sanzioni (e conseguente applicazione del principio di legalità) tale conclusione non possa essere condivisa in quanto, come evidenziato, le due norme di riferimento devono essere coordinate se non altro per aderenza alla ratio della volontà del legislatore.

Fermo restando che, ancora una volta, sarebbe stato più semplice e chiaro rivedere l’intera materia per riformulare una norma contenente sia il precetto sia la sanzione, si ritiene che la sanzione prevista per il rifiuto di consentire i pagamenti con la moneta elettronica presupponganecessariamente, l’avvenuta installazione del POS. Ne consegue, che ai fini dell’irrogazione della sanzione, la dichiarazione di non disporre di POS debba essere necessariamente equiparata al rifiuto di consentire l’utilizzo della moneta elettronica. Opinando diversamente, l’intero schema normativo sarebbe destinato al fallimento in quanto troppo agevolmente aggirabile.

Va da sé che la possibilità di consentire il pagamento con carte (di credito, debito e prepagate) non può essere intesa come obbligo trovandosi, per contro, in presenza di una mera facoltà del cittadino, il quale può utilizzare, a sua scelta e liberamente, il contante ovvero la moneta elettronica. Tuttavia, per la prima ipotesi sussistono comunque dei vincoli derivanti dai limiti fissati dall’art. 49, commi 1 e 3-bis, D.Lgs. n. 231/2007, pari a_

– 2.000 euro fino al 31 dicembre 2022;

– 1.000 euro a decorrere dal 1° gennaio 2023.

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La condotta illecita considerata si riferisce esclusivamente, come correttamente chiarito dalle istruzioni operative della Guardia di Finanza, all’ipotesi in cui non vengono accettati pagamenti effettuati con carte di debito, di credito e prepagate e non anche con altri strumenti alternativi al contante. Tra questi ultimi, ovviamente, rientrano, ad esempio, gli assegni bancari e circolari.

Quando è esclusa la responsabilità?

Un secondo limite introdotto dalla normativa sanzionatoria riguarda le ipotesi di esclusione della responsabilità determinata “da oggettiva impossibilità tecnica“.

In merito a tale previsione, non possono essere avanzati rilievi tenuto conto che possono effettivamente verificarsi problemi di connettività o di malfunzionamenti tecnici dei dispositivi utilizzati per l’accettazione dei pagamenti elettronici. Ovviamente, si tratta di stabilire se detta impossibilità sia effettiva o uno strumento per aggirare il precetto giuridico.

Sta di fatto che i cittadini, di fronte ad un’eccezione del genere, non dispongono di alcuno strumento per verificarne la fondatezza né è ipotizzabile che ogniqualvolta venga mossa tale eccezione il cliente sia disponibile a chiedere l’intervento della Guardia di Finanza o degli altri Ufficiali e Agenti di Polizia giudiziaria.

Per ovviare a tale prevedibile generalizzato strumento evasivo, si potrebbe ipotizzare una preventiva comunicazione alle competenti Autorità. Si ha consapevolezza della farraginosità di tale procedura ma, se si vuole effettivamente condurre una seria lotta all’evasione fiscale, è necessario chiedere il contributo di tutti, salvo compensare il relativo costo amministrativo con una riduzione delle commissioni.

Accertamento, competenza e procedimento

Sul piano dell’accertamento non sussistono particolari difficoltà in quanto a tale attività, oltre la Guardia di Finanza (che utilizza anche gli ordinari poteri previsti dalla normativa in materia di IVA e imposte sul reddito), possono procedere anche gli altri ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria. È comunque fatto salvo l’esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti.

In merito alla natura giuridica delle sanzioni le stesse non possono essere qualificate di carattere tributario. Tale conclusione, ovviamente, non è priva di conseguenze giuridiche in quanto incide inevitabilmente sia sull’individuazione della competenza per materia sia sulle norme che disciplinano il relativo procedimento.

Alla sanzione – che non ha natura tributaria – si applicano le procedure e i termini stabiliti dalla legge n. 689/1981. È escluso il pagamento in misura ridotta.

All’accertamento delle violazioni possono procedere anche gli ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria, che possono anche assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica.

Attenzione

È appena il caso di precisare che la nozione di “privata dimora” rilevante, agli effetti dell’art. 13, legge n. 689/1981, per delimitare il potere di ispezione degli organi addetti all’accertamento di illeciti amministrativi (potere che può, appunto, esercitarsi esclusivamente in luoghi diversi dalla privata dimora) coincide – nella sostanza – con quella rilevante agli effetti del reato di violazione di domicilio e, dunque, comprende non soltanto la casa di abitazione, ma anche qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente all’esplicazione della vita privata o di attività lavorativa, e, quindi, qualunque luogo, anche se diverso dalla casa di abitazione, in cui la persona si soffermi per compiere, pur se in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata riconducibili al lavoro, al commercio, allo studio e anche allo svago.

Se non è avvenuta la contestazione immediata per i responsabili gli estremi della violazione devono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di 90 giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di 360 giorni dall’accertamento.

Il termine comincia a decorrere dal momento in cui è compiuta o si sarebbe dovuta compiere, anche in relazione alla complessità o meno della fattispecie, l’attività amministrativa volta a verificare tutti gli elementi dell’infrazione. L’accertamento non coincide, quindi, con la generica ed approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento delle indagini necessarie per riscontrare l’esistenza di tutti gli elementi dell’infrazione e richiede la valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi dell’infrazione e la fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita ed a valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione.

La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.

Il verbale di accertamento dell’infrazione non costituisce atto suscettibile di autonoma e immediata contestazione, poiché l’atto di contestazione della violazione non è destinato ad assumere efficacia di titolo esecutivo. Esso, perciò, conserva ancora natura procedimentale.

Fonte: IPSOA