Qualche volta ci si è posti una domanda e quasi certamente se la sarà posta una unità ispettiva dell’organo di vigilanza che è stata incaricata di svolgere degli accertamenti nell’ambito di un cantiere temporaneo o mobile; delle violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro riscontrate sul terrazzo di un fabbricato in costruzione o in manutenzione risponde anche una impresa che deve svolgere il lavoro appaltatogli nei piani dello stesso stabile o al piano terra e che quindi non avrebbe motivo né occasione di esporsi ai rischi legati alle violazioni stesse?
La suprema Corte di Cassazione, in una recente sentenza emanata sul ricorso presentato dall’amministratore unico di una società che era stato condannato dal Tribunale in qualità di datore di lavoro, per avere omesso di proteggere contro il rischio di caduta dall’alto, con parapetto, tavola fermapiede o tavolato solidamente fissato, il terrazzo di un fabbricato in costruzione, ha avuto l’occasione di esprimere il proprio parere in merito e ha sostenuto che, nel caso della esecuzione di lavori di più imprese nello stesso cantiere, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche gravano su tutte le stesse essendo comunque esse onerate di verificare la sicurezza nei luoghi di lavoro. La Corte ha quindi, nel caso in esame, dichiarato inammissibile il ricorso avanzato per l’annullamento della penalità inflitta alla ricorrente e, contrariamente a quanto aveva deciso la Corte territoriale, ha concesso alla stessa il beneficio della non menzione della condanna.
Il caso, la condanna, il ricorso per cassazione e le decisioni della suprema Corte.
L’amministratrice unica di una società, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale con la quale era stata condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 3.000 di ammenda, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui agli art. 122-159 del D. Lgs. n. 81 del 2008, a lei contestato perché, quale datore di lavoro, aveva omesso di circondare una parte del terrazzo di una costruzione con un parapetto e tavola fermapiede o con un tavolato solidamente fissato.
Il ricorso è stato affidato a quattro motivi. Con i primi due la ricorrente ha contestata la formulazione del giudizio di colpevolezza rilevando che i lavori subappaltati alla sua società riguardavano esclusivamente il piano terra del fabbricato e non il terrazzo dove erano state riscontrate le violazioni e dove stavano operando altre ditte subappaltatrici.
Con il terzo motivo si è lamentata ancora perché le erano state negate le attenuanti generiche e per l’eccessività della pena e con il quarto motivo, infine, per il mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna. La Corte di Cassazione ha ritenuti inammissibili i primi tre motivi di ricorso, perché manifestamente infondati, e ha invece giudicato meritevole di accoglimento il quarto motivo.
Per quanto riguarda la formulazione del giudizio di colpevolezza, oggetto di critica nei primi due motivi, tra loro sovrapponibili, la suprema Corte ha osservato che il Tribunale sveva adeguatamente valorizzato gli esiti dell’ispezione effettuata presso il cantiere edile, dove erano stati trovati a lavorare dipendenti della società legalmente rappresentata dall’imputata. La stessa, infatti, era impegnata a realizzare, quale subappaltatrice, un massetto e la posa in opera di battiscopa, pavimenti e rivestimenti e, durante l’ispezione, era stato riscontrato, in prossimità del terrazzo, una parte di solaio sprotetto verso il vuoto per circa 30 m che avrebbe dovuto invece essere circondato con parapetto e tavola fermapiede o tavolato fisso.
Avendo omesso la società di pagare la sanzione amministrativa irrogata con la prescrizione dell’organo di vigilanza, l’imputata è stata ritenuta colpevole della contravvenzione di cui agli art. 122 e 159 del D. Lgs. n. 81 del 2008, avendo il Tribunale correttamente evidenziato che “nel caso di esecuzione di lavori in subappalto all’interno di un unico cantiere, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche gravano su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all’esecuzione di parte delle opere, essendo questi comunque onerato di verificare la sicurezza dei luoghi di lavoro”.
Tale affermazione, del resto, ha posto ancora in evidenza la Sezione VII, si pone in sintonia con l’orientamento espresso più volte da questa Corte di Cassazione sul punto per cui non vi è spazio per accogliere le doglianze difensive, con le quali è stata proposta sostanzialmente una lettura alternativa delle prove acquisite, operazione non consentita in sede di legittimità.
Anche rispetto al trattamento sanzionatorio, censurato in maniera non specifica con il terzo motivo, la suprema Corte non ha ravvisato criticità alcuna dovendo osservare che in sede di conclusioni non erano state richieste le attenuanti generiche e che, in ogni caso, la pena irrogata (3.000 euro) non è risulta ispirata da criteri di eccessivo rigore, avendo il Tribunale optato per la pena pecuniaria in luogo di quella detentiva.
Ha invece ritenuto fondato la suprema Corte il quarto motivo. La stessa ha osservato che, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, la difesa aveva chiesto in sede di conclusioni, in via subordinata, l’applicazione dei “benefici di legge”, dizione questa riferibile sia alla sospensione condizionale della pena che al beneficio della non menzione. Solo il primo dei due benefici era stato però concesso alla ricorrente mentre nessuna risposta era stata data alla richiesta della difesa in merito al beneficio della non menzione benché lo stesso fosse senz’altro concedibile, avuto riguardo all’entità della vicenda e al fatto che l’imputata fosse incensurata.
La Corte di Cassazione, in definitiva, ha dichiarato inammissibile il ricorso per i primi tre motivi e, apparendo superfluo il rinvio al giudice di merito, ha provveduto, ai sensi dell’art. 620 lett. i) del codice di procedura penale, a concedere direttamente alla ricorrente il beneficio della non menzione.
Fonte: PUNTO SICURO