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28 Giugno 2024

ESPOSIZIONE AL RADON: QUALI SONO I LUOGHI E LE ATTIVITÀ PIÙ A RISCHIO?

Come ricordato anche in molti nostri articoli, il radon è un gas “che si genera nelle rocce o nei suoli per effetto del decadimento radioattivo degli elementi appartenenti alle serie dell’uranio e del torio”. Ed è proprio il radon la sorgente che, secondo quanto indicato nel 2008 dal Comitato scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti ( UNSCEAR), fornisce alla popolazione il maggior contributo proprio in relazione all’esposizione e alla dose da radiazioni ionizzanti.

A ricordare i problemi connessi all’esposizione al radon e a fornire utili informazioni anche in ambito lavorativo, è un recente fact sheet curato dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’Inail e intitolato “Prevenzione e protezione dall’esposizione al radon nei luoghi di lavoro secondo la normativa vigente”.

Il documento, che in questo caso fa riferimento “solo all’isotopo 222 del radon, appartenente alla serie dell’uranio-238”, ricorda che dalle rocce o dai suoli “il radon può fuoriuscire all’aria aperta, ove solitamente i livelli si mantengono bassi”. Mentre l’eventuale penetrazione all’interno degli edifici fa sì che il gas radon “possa accumularsi e raggiungere concentrazioni in aria anche molto elevate”. E per questa ragione il radon “è considerato come fattore di rischio presente negli ambienti confinati (indoor)”.

E il radon, come sappiamo, può essere presente in qualunque ambiente indoor: “di vita, di svago o di lavoro”.

Infatti, dal punto di vista regolatorio, “l’esposizione dei lavoratori al radon è gestita come una situazione di esposizione esistente”.

Si segnala quanto indicato, all’interno del D.Lgs. 101/2020, nella definizione 134 (“situazione di esposizione esistente”): una situazione di esposizione che è già presente quando deve essere adottata una decisione sul controllo della stessa e per la quale non è necessaria o non è più necessaria l’adozione di misure urgenti.

In questo caso lo strumento decisionale è il livello di riferimento (LdR).

Tale normativa di settore ( Decreto Legislativo 31 luglio 2020, n. 101 e s.m.i.) ha identificato le situazioni “ove è più probabile riscontrare un rischio di esposizione al radon, chiedendo per queste la valutazione del rischio come misurazione della concentrazione media annua in aria e prescrivendo l’adozione di misure correttive (interventi di risanamento) laddove i livelli riscontrati siano superiori” al livello di riferimento. Nel caso dei luoghi di lavoro, tale LdR “corrisponde ad una concentrazione media annua di radon in aria pari a 300 Bq/m3”. Gli autori rammentano poi che il livello di riferimento LdR è “quel valore di concentrazione oltre il quale non è appropriato consentire le esposizioni, derivanti dalle suddette situazioni” e che ‘l’ottimizzazione della protezione continua a essere messa in atto al di sotto di detto livello’. (d.lgs. 101/2020, art.  6).

Questo vuol dire che “in presenza di valori di concentrazione di radon superiori al LdR è obbligo del datore di lavoro/esercente adottare misure correttive per ridurre le concentrazioni al livello più basso ragionevolmente ottenibile, sulla base delle indicazioni tecniche degli esperti in interventi di risanamento”.

Tuttavia – continua la scheda – “anche laddove i livelli di radon non superino il LdR, se le condizioni lo consentono, sarebbe opportuno ridurre la presenza del radon a valori più bassi possibile per tutelare la salute dei lavoratori. La riduzione delle concentrazioni di radon indoor, infatti, è una misura di protezione di tutti gli occupanti” (non solo i lavoratori).

Fonte: puntosicuro.it