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27 Marzo 2024

I SISTEMI A LED E L’AUMENTO DEI RISCHI PER L’ESPOSIZIONE ALLA LUCE BLU

Sempre più l’illuminazione artificiale degli ambienti e delle postazioni di lavoro, con riferimento anche ai monitor dei PC, ai display di strumentazioni, tablet e smartphone, è realizzata con dispositivi a LED (Light Emission Diode). E se secondo alcuni dati della IEA (International Energy Agency) il 50% delle vendite di dispositivi illuminanti riguarda ormai la tecnologia a LED, lo Scenario Net Zero Emissions del 2050 “indurrà ad aumentare la quota dei dispositivi di illuminazione a LED, fino alla quasi totalità del mercato già nel 2030”.

Anche “le tecnologie a cristalli liquidi (LCD) retroilluminati che avevano sostituito lo schermo a tubi catodici della TV o della strumentazione tecnica e poi quello dei PC vedono il loro posto occupato oggi dalle nuove tecnologie, dove il pixel dell’immagine è costituito da LED, fino ai punti quantici (nanoparticelle) nel caso della tecnologia QLED”.

A ricordarlo è un nuovo fact sheet, una nuova scheda informativa, del Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) dell’ Inail, dal titolo “‘Nuovi’ spettri per la visione”.

La scheda segnala che gli spettri di emissione dei sistemi a LED contengono una maggiore emissione di luce blu e questa potrebbe essere lesiva per la retina a causa della maggiore energia traportata. Il Dipartimento DIT, a questo proposito, si sofferma sulla valutazione del rischio fotobiologico e sui vari spettri di emissione dei nuovi sistemi, confrontati con quelli dei sistemi tradizionali.

Nel presentare la nuova scheda Inail, l’articolo si sofferma sui seguenti argomenti:

  • La luce blu e la valutazione del rischio fotobiologico
  • La visione umana e gli spettri naturali e artificiali
  • Le nuove sorgenti luminose e l’esposizione alla luce blu

Si segnala che per prevenire danni fotochimici alla retina, l’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection) ha proposto dei valori limite di esposizione.

In particolare, “le sorgenti sono classificate in 4 gruppi di rischio, dal gruppo esente da pericoli fotobiologici in condizioni prevedibili (di cui esempi sono l’illuminazione domestica e d’ufficio, i monitor di computer, gli schermi di apparecchiature, gli indicatori luminosi), al gruppo 3 di rischio elevato, anche in caso di esposizione breve o momentanea”.

E le sorgenti di luce artificiale “devono preventivamente essere valutate dai produttori in relazione al rischio per la retina e classificate in uno dei gruppi di rischio”.

Si segnala che all’interno dello spettro della luce visibile, “l’intervallo tra 380 e 500 nm è conosciuto come luce visibile ad alta energia (HEV)”, comunemente nota come “ luce blu”. E, in particolare, “le lunghezze d’onda comprese tra 390 e 440 nm sono considerate particolarmente critiche per la capacità di produrre affaticamento oculare (visione offuscata, occhi irritati, secchezza oculare, mal di testa, abbagliamento, ecc.), disagio (disturbo del sonno e del ritmo circadiano) e potenziali effetti dannosi sulla retina (fotoretinite)”.

Le cosiddette “nuove sorgenti luminose”, contengono una proporzione di luce blu superiore a quella delle sorgenti tradizionali.

E considerando che si trascorrono sempre più ore davanti a devices digitali, “occorrerebbe definire le modalità di utilizzo di tali dispositivi e i meccanismi di protezione da attivare per non compromettere la salute oculare”.

In particolare “l’esposizione notturna agli schermi elettronici e l’intensità dell’illuminazione a LED possono influenzare l’ampiezza della dilatazione della pupilla, importante in termini di potenziale danno alla retina. Andrebbe pertanto limitata l’esposizione a questi dispositivi in presenza di carente luce naturale o inadeguata luce artificiale”.

Altre misure riguardano poi “l’applicazione di protezioni per gli schermi dei dispositivi e l’uso di programmi e funzionalità integrate nei devices che limitino la trasmissione di HVE”. Infatti, si ribadisce, l’esposizione a luce blu “può compromettere i meccanismi naturali di protezione dell’occhio dagli effetti dannosi della luce (restringimento della pupilla, chiusura delle palpebre, distoglimento dello sguardo, azione di filtraggio del cristallino)”.

Si indica poi che l’utilizzo di lenti per occhiali o di lenti a contatto che limitino la quantità di luce blu che raggiunge l’occhio “è spesso fortemente raccomandato”, anche se nella pratica clinica “non esistono prove consistenti a sostegno dell’uso di tali filtri come trattamento efficace contro l’affaticamento della vista. Altrettanto viene indicato per una combinazione di filtri blue-blocking sia su occhiali che sui dispositivi”.

In definitiva il crescente aumento dell’esposizione alla luce blu, sia negli ambienti di vita che negli ambienti di lavoro, “porta inevitabilmente ad una sempre maggiore probabilità di riscontrare le patologie oculari” segnalate. E dunque è fondamentale “progettare adeguati studi per

la valutazione degli effetti a lungo termine dell’esposizione alla luce blu artificiale, soprattutto per specifici gruppi maggiormente sensibili quali bambini, anziani e individui con visione compromessa”.

Fonte: Puntosicuro.it